Nelle esecuzioni di Silvio Celeghin si riflette non solo un’esperienza incredibilmente ricca di esecutore sui più vari strumenti a tastiera (organo, clavicembalo, pianoforte e anche strumenti sperimentali quali il pianoforte con pedaliera Borgato e altri ancora), ma anche di collaboratore per il basso continuo di orchestre da camera dedite al repertorio settecentesco veneto, come I Solisti Veneti con cui ha eseguito e registrato non solo L’Estro Armonico, ma anche altri dei concerti di Vivaldi trascritti da Bach.
Conciliare la profonda poetica vivaldiana e la ricchezza di colori strumentali propria delle creazioni del “Prete Rosso “ veneziano con le ben diverse possibilità espressive e cromatiche delle tastiere dell’organo è un compito molto arduo che, se mal risolto, rischia di presentare l’allievo in contrapposizione col Maestro piuttosto che sottolineare l’impulso creativo incomparabile e il senso della struttura musicale che il genio tedesco ha ereditato dal compositore della Pietà (*).
Silvio Celeghin, ha rivissuto profondamente i testi di entrambi i compositori e ha raggiunto una sintesi notevolissima; in poche parole riesce a darci l’impressione di vedere Vivaldi con gli occhi stessi di Bach e, pur rivelando in queste creazioni il futuro linguaggio dei Concerti bachiani, consegue nelle trascrizioni di Bach il risultato assai eccezionale di mantenere viva la freschezza e la varietà policroma dei Concerti vivaldiani. (*)
Il biografo di Bach più vicino alla famiglia del compositore, Johann Nikolaus Forkel, nella sua biografia del genio tedesco pubblicata a Lipsia nel 1802 ci lascia la più grande e importante testimonianza dell’influenza dell’opera di Vivaldi su J. S.Bach. Forkel, che non ha mai conosciuto Vivaldi e traduce quindi testimonianze raccolte nella famiglia del Cantor, scrive: «Bach si accorse presto che il correre su e giù per la tastiera non bastava, ci volevano ordine, correttezza, e senso dei collegamenti – erano indispensabili – e che un tipo di istruzione era necessaria per raggiungere questi fini.
I concerti per violino di Vivaldi, in quel momento freschi di pubblicazione, gli diedero quest’istruzione. Gli venne la felice idea di trascriverli per la sua tastiera [in realtà sei per cembalo e tre per organo più il colossale Concerto per 4 clavicembali, n.d. t]. Egli studiò il sistema con cui venivano utilizzati i temi, le relazioni fra i medesimi, l’alternarsi delle modulazioni e molte altre cose. Sistemare temi e passaggi che erano scritti per violino, ma non erano adatti alla tastiera, gli insegnò a pensare musicalmente cosicché apprese a cercare le idee musicali non più dalle proprie dita, ma dalla propria fantasia creativa». Questa formidabile testimonianza. in realtà poco nota. dà un quadro perfetto della importantissima influenza che il Prete Rosso ha avuto sul lontano allievo.
Il risultato più importante è forse la trascrizione, al di fuori dell’Estro Armonico, del grandioso Concerto RV 208 “Grosso Mogul”, giunto a Bach in una copia manoscritta fedelissima dell’autografo custodito a Torino. Il tempo centrale, il grande Recitativo di carattere espressivo vocale, ma realizzato con una fantasia incredibile nel disegnare passaggi acrobatici e modulazioni ardite nella parte del solista – una delle realizzazioni più incredibili del compositore grandissimo violinista e operista di immenso successo – è stato trascritto da Bach con una assoluta precisione senza praticamente variare alcunché.
Non si può non vederne tracce in alcuni dei più riusciti Recitativi e Arie di Bach. In uno scritto mirabile il grandissimo musicologo Schering, a cui va il merito della prima decisa affermazione del valore degli originali vivaldiani appena rivelati proprio dalle trascrizioni di Bach, aggiunge un elemento fondamentale.
Commentando un bellissimo passaggio del Finale del Concerto op. 8 n. 11, nel quale il secondo violino solista si libera in una melodia meravigliosa passando dalla tonalità minore a un radioso do maggiore, Schering scrive: «È come se in una grande sala di un palazzo barocco le finestre si aprissero sull’immensa, mirabile natura: è il richiamo di un uomo libero al mondo. Bach probabilmente ebbe coscienza di questo, ma chiuso com’era nel suo mondo interiore, non osò avventurarsi in questi liberi orizzonti».
Recensione di Claudio Scimone (Amadeus giugno 2014)